buio per sarmentino, incontro: è un gola, appio,. 1) il silenzio che intera le crete o vacchelle di come esporta la morte molle, la pacchezza,.
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7 = = = = = Dolore del re, pensai, gli inizietti con lo slancio al parco di costeggi, rimbombo, un mattino: quel fiume acidità di tentoni che vi sono passati, corti vomiticcio o alba, lo scopo piccino del re quarta e si sta soggetti orecchiali alla composizion feudale di questo latte acido di melodìa (un ri chiamo al commercio, la caudata erba, benzolo, mela, bordo) che possiedono il senso di disagio, la percossa. Lo star molto male, importanti, vuol dire esservi stati Pollenzo marzo – aprile 1964
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8 (VOLER) ITINERARE, SPONTANEO INCONTRAR, E MANOVRE Miglia e latte intrecciano il pesce carnoso dei chiami, in pianura cui la boccia rozza dà un fanonino di mancamento; di là, col turre che cotto (fiore, torre, tuorlo) lampone annotturna la mia testa, vagano genti zuccherine, cui la ditata in mezzo riceverà buona accoglienza. Il dondolo da cieco desidera volumi da abbevero; e scaturir appunto gorghe di attirante sana il bosco bianchetto di timoni, pronto a quella padella – immagini forti, della mistica, assenza fissata su giudizi in mappe: un poco arca la snellezza, deglutendo. Perdendo sforzato di percorso, di occhiati, perdendo poco del tutto noto, sanguinello di cuoio, si inizia di strumenti innati, fagioli bianchi del grande
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9 si fronda perciò di spiccio: tuoni inchiost ro leggero di sonno. spostarsi altro che accurati di spatola oppur gioia, pensa sempre al rosa in un futuro che è dolce per basità di mezzi, che s viluppa appunto terrina di dolciastro quasi rastrellante ruggine, o ciotoli di magre; ne viene il vivace prontarsi, che il muovere ad occhi chiusi il corpo disimparato, ferrente, esilara di spiacciata tavoletta di carne con su germe, un pallido, insomma, d i riconforto così intenso da lasciare anche sapori, piccole boe di presenza. Non mi dimentico, nel fiotto di severità che in benda arciona, fra valli E astuzia, canapole di vegetazione, allegra per la forza sbriciola in trampoli di pane la che è insomma commercio, aceto da non elevare, perseguire adatto in rotto come un carro terra valletta bibula di color limone del caldo beige della rena maltempo
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10 rattenuta sciabola di legno la gonna di passerella Dubbio e non mi spiace, come sapendo tanto Martiniana Po marzo – aprile 1964 gonna di passerella = storta assicella sbandierante, con ringhiera, mezza divelta, martinicca fatta a vite Questa poesia vuol essere un riassunto, o
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11 = = = = = Verdi, politica, il sole brezza odori da figgitura, al marron vomere delle piacevolezze dopo pioggia con tensione di pensosissimi aver uscito il c arbon vago e esser pronti come unti. Una mente soffregantesi di dono felice al civis posiziona; le smissette, indelebili, inchiostro, del serio o crespo, responsabile quasi zoccolo di gola momento soldatesco, la pianura, un grande avvento di traversoni vallari, di vista gioconda in salticelli di pane, adibita, tremolante di panno feltro delle auguste modature, proprio; sommesso di canti ferro il riconoscersi, brusco cappotto in cimbali Soddisfa di energia il pino marittimo scorzante in sé dentro, le mannaie appurate di boccia di quel selvaggio che ristabilirsi basti a invio, alloro in componimento quasi corsoio di sfrondar monetina o rozzo; col fuggire solario di catenone di ex pioggia e sbocchi
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13 collari balestra al la cenere, spazietti: pianura longheronata infatti educa quasi mani rapide alla corona i riaffidi, un onore di concentrazione che sfugge risate e la chiara perlacea, la stessa gommosità del risaltino Avverrà prossimamente che bandieroni di mandorlo transi teran le polmoni nubi del preparativo, festa ragione nel disàbito e nelle giunture scudisciate fino al punto della gengiva del pulire lordo: formicolosità del velluto dei tessuti a treilli odoranti delle vegetazioni con i corpacci delle ombre di nuvole a rendere ancor più xilofono di appennino il blu lacca, la valluosità col carpo, forse col bacile in cassero, addrizza di terriccio a secchiate scattanti della rosa il bollore lucido, preciso, losangato da neri in città azzurra di cispe, strigline commerciando le specie di carburo lucido del guardar fisso il movimento: e torquati, e pochi, con una leggerezza di appetito nave qua e là nei visi piegati in legno limone o cipol la, ottarda lieve i passi della relativa dorata negoziale in stantìo disabitazione e cilestrità del nuvolo asciugante, quando la camera del vento fa i valloni del nudo, le ditate,
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14 la molta ghierità di odori, il regno delle ghiaie, turiboline di falde che si possono troncare color ragno, la vera penetrazione così nonnulla, Svolazzo alberente di fosca festa, la vasca o tensione del puntinìo mette uova agli occhi insegnantisi il riserbo del trambusto, la nuca azzimata è sfuso di futuro Castino, Arguello aprile 1964
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15 = = = = = abbandona: di chi si parlava? Me, per – – metto, non è argomento. Questo massaggia la liscivia dei detritini di pesce che son il sabbioso in cielo della disperazione la finestrella composta da lime di quel covo rocchiato, il cigolìo color sbatto E la successione di equilibrio stanga in falsi i sapori che, esser, erano carnetta, ma in quel di più stopposo che essa fontanila: mediocrità, assillo, scaglie ritte sul legno adoperato! Complicazione i boschi affaticano, e fan sì che si sia pacatamente assenti: scortati, la guardaroba del volere poco o niente acceca, le punt e di appetenza non fan fermare a guardarsi attorno, il budello del tramite di come faccia un uccello a glaucare il verde, obiciotto sgusciante la continuazione da vulcano o alloro il [fischione dal let
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16 nel dimenticare so osservarmi acidetto tipo ragno, o arate da cordino; bavaglio monte i mali, con il gracchiar buccettina; lardello grave di malezza il prefiggersi neve che in vento è gallorina, un umore sconquassato e azzittente, il soleggiar impicciato come chiodi, il lanoso verde traspaio della pianura: pianura?, acquata, strategico fascettar imballi dorsali tra lacca vagolosa del piovuto o ultramarino che, stecchi, una pianura breve argenta a palma amara: il senso sciacquoso un amarezza nera nto e però io sollevo; ragni della maledizione spicciola contrastano come cemento, e violastro sudor gelo la neve lastrella il forcuto zucchetti acidi e bavaglio, in malumore anelare o la conoscenza sicurissima, perlustrato calante il sonno mefitico di distinzione, asciugamento, di cibi Occupo, mattonella, un bosco, con lo stesso
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