Nel testo del nuovo codice è stato aggiunto un secondo comma riguardante la necessità della obiettivamente da lui riscontrato e quanto riferito.
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CCoommmmeennttaarriioo aall CCooddiiccee ddii DDeeoonnttoollooggiiaa MMeeddiiccaa titolo 1° – OGGETTO E CAMPO DI APPLICAZIONE Art. 1 Definizione Il Codice di Deontologia Medica contiene principi e regole che il medico-chirurgo e l’odontoiatra, iscritti agli albi professionali dell’Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri, di seguito indicati con il termine di medico, devono osservare nell’esercizio della professione. Il comportamento del medico, anche al di fuori dell’esercizio della professione, deve essere consono al decoro e alla dignità della stessa. Il medico è tenuto alla conoscenza delle norme del presente Codice, la cui ignoranza non lo esime dalla responsabilità disciplinare. Commento: Il nuovo codice di deontologia medica, all™art. 1, si limita a stabilire, con chiarezza, quali siano i suoi contenuti e i suoi ambiti di applicazione, senza preoccuparsi di elaborare una definizione della deontologia medica. A questo riguardo è interessante notare come nell™articolo sia subito chiarito il concetto che le norme deontologiche non riguardano soltanto la vita professionale del medico, ma incidono su tutta la sfera comportamentale del professionista. Il termine di deontologia deriva dai termini greci “to deon” : “ciò che deve essere e che si deve fare” e “logos” : “discorso, parola, scienza “. Nella storia della filosofia la parola deontologia è entrata nell™uso comune da quando il Bentham diede alla sua “Science of morality” apparsa nel 1834 il titolo di “Deontology”. In sede di introduzione a questo commento è necessario evidenziare la consapevole scelta della Federazione di “difendere e rafforzare” il valore e l™importanza della deontologia professionale. Si è inteso riaffermare con energia l™autonomia della deontologia anche rispetto alla continua e incessante opera di “legificazione” di tutti gli aspetti in cui si svolge l™attività dell™uomo. La norma giuridica, infatti, non può pretendere, senza tradire i suoi peculiari aspetti di generalità e di astrattezza, di regolamentare l™universalità dei comportamenti umani soprattutto in campi particolarmente delicati come quelli relativi allo svolgimento dell™attività professionale. La deontologia medica rappresenta, tradizionalmente, l™insieme delle norme riguardanti i doveri del medico nei suoi rapporti con le autorità , con i cittadini e con i colleghi. Caratteristica primaria di questo insieme di principi e regole è la loro “extragiuridicità”: si tratta di norme di condotta che nascono spontaneamente in seno al gruppo professionale e che sono volontariamente osservate come se fossero norme giuridiche dai componenti del gruppo professionale stesso. In campo medico, in particolare, il comportamento deontologico si esprime nel rispetto della dignità professionale. Questo si sostanzia nel presupposto che la scelta della medicina come professione sia Œ o almeno tenda ad essere Œ vocazionale e che fondamenti ne siano l™indipendenza intellettuale e la libertà scientifica. Questi valori sono comuni a tutte le professioni, ma trovano la loro più alta espressione nella medicina cui prioritariamente è affidata la tutela dello stato di salute dell™uomo e il suo benessere psichico e fisico. I valori basilari del rispetto della vita e della dignità della persona devono essere sempre di guida al medico, la cui opera ha per fine l™interesse del paziente, da perseguire nella rigorosa adesione ai canoni della deontologia ippocratica, cioè ai principi della beneficialità e della non maleficità. E™ ancora attuale, quindi, l™antichissimo binomio della scienza e coscienza. L™atto medico ha, da un punto di vista deontologico, una duplice giustificazione. Da un lato la scienza del medico, cioè il suo sapere offerto al paziente e corretto dalla coscienza, intesa quale uso consapevole di questo sapere nell™interesse esclusivo del malato, dall™altro la volontà, liberamente espressa e non delegabile, dell™individuo che al medico si affida.
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FFNNOOMMCCeeOO FFeeddeerraazziioonnee NNaazziioonnaallee OOrrddiinnee MMeeddiiccii CChhiirruurrgghhii ee OOddoonnttooiiaattrrii CCoommmmeennttaarriioo aall CCooddiiccee DDeeoonnttoollooggiiccoo Pag. n.2 di 75 Se, come detto – la deontologia medica si sostanzia nel rispetto della dignità e del decoro della professione garantite dall™indipendenza professionale e dalla libertà scientifica – ecco che viene a delinearsi in modo netto ed esauriente il significato vero dell™Ordine professionale inteso come organo che deve tutelare i principi costitutivi della dignità della professione. Art. 2 Potestà disciplinari – Sanzioni L’inosservanza dei precetti, degli obblighi e dei divieti fissati dal presente Codice di Deontologia Medica e ogni azione od omissione, comunque disdicevoli al decoro o al corretto esercizio della professione, sono punibili con le sanzioni disciplinari previste dalla legge. Le sanzioni devono essere adeguate alla gravità degli atti. Commento: L™art. 2 è modificato rispetto alla precedente versione prima di tutto per quanto concerne il titolo, che si riferisce direttamente alla potestà disciplinare e alle relative sanzioni. Si è voluto sottolineare come spetti all™Ordine professionale garantire il rispetto dei principi deontologici attraverso l™eventuale irrogazione di specifiche sanzioni disciplinari nei confronti degli iscritti. La dottrina ha più volte evidenziato il carattere di discrezionalità del potere disciplinare degli Ordini sui propri iscritti. E’ stato affermato (Lega) che se è vero che il potere disciplinare è attribuito all’Ordine professionale per il raggiungimento di determinate finalità di ordine pubblico, qualora si riscontrasse che tali finalità siano contraddette dai propri iscritti, l’Ordine stesso verrebbe meno ai propri doveri istituzionali se non esercitasse quei poteri che tali finalità presidiano. Ricorrendo particolari fattispecie di minore importanza non può, tuttavia, negarsi un certo margine discrezionale sulla opportunità di procedere disciplinarmente. Quando però vi siano prove certe di comportamenti obiettivamente antideontologici, l’Ordine è chiamato ad attivarsi per dare contenuto e sostanza alla sua potestà disciplinare. Per quanto concerne le professioni sanitarie, il potere disciplinare è attribuito agli Ordini e Collegi dall’art. 3, lett. f) del DLCPS 13 settembre 1946, n. 233 .Le sanzioni disciplinari e il relativo procedimento sono invece stabilite negli artt. 38 – 52 del DPR 5 aprile 1950, n. 221. Le sanzioni disciplinari sono: l’avvertimento ” che consiste nel diffidare il colpevole a non ricadere nella mancanza commessa”; la censura “che è una dichiarazione di biasimo per la mancanza commessa”; la sospensione dall’esercizio della professione per un periodo di tempo che va da uno a sei mesi; la radiazione dall’Albo per le colpe di estrema gravità. Il già citato art. 38 del DPR 5 aprile 1950, n. 221, prescrive che il procedimento disciplinare è promosso dall’Ordine d’ufficio o su richiesta del Ministro della Sanità o del procuratore della Repubblica. Giudice d’appello contro le decisioni disciplinari dell’Ordine è la Commissione Centrale per gli esercenti le professioni sanitarie. E’ ammesso, infine, il ricorso alle Sezioni unite della Corte di Cassazione avverso le decisioni della Commissione Centrale. Nel testo del nuovo codice è stato aggiunto un secondo comma riguardante la necessità della adeguatezza delle sanzioni disciplinari da irrogare alla gravità degli atti. A questo proposito deve sottolinearsi una innovazione della legge 175/92 discendente dall™entrata in vigore della recente normativa 26 febbraio 1999 n. 42 “Disposizioni in materia di professioni sanitarie” che ha modificato l™art.3 comma 1 e l™art.5 comma 4 della legge citata 175/92, che prevedevano l™irrogazione della sanzione e della sospensione da 2 a 6 mesi per coloro che svolgevano a titolo individuale o come responsabili di strutture sanitarie, pubblicità sanitaria nelle forme consentite senza autorizzazione del sindaco o della Regione. In questi casi le sanzioni irrogabili diventano quelle della censura o della sospensione dall™esercizio della professione sanitaria ai sensi dell™art.40 del DPR 5 aprile 1950, n.221. Occorre subito sottolineare che rimangono ferme, invece, le sanzioni previste dalla legge 175/92 in caso di pubblicità contenente indicazioni false o svolte attraverso strumenti non disciplinati della legge. Con queste modifiche la legge 26 febbraio 1999 n. 42, ha inteso superare la rigidità dell™irrogazione della sospensione da due a sei mesi che in precedenza doveva essere applicata al professionista che non era in regola con l™autorizzazione prevista dalla legge 175/92. In pratica l™Ordine riacquista in questo specifico settore la propria discrezionalità amministrativa per quanto concerne la valutazione della colpa disciplinare del professionista, potendo modulare la sanzione eventualmente da infliggere in un ambito che va dalla
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FFNNOOMMCCeeOO FFeeddeerraazziioonnee NNaazziioonnaallee OOrrddiinnee MMeeddiiccii CChhiirruurrgghhii ee OOddoonnttooiiaattrrii CCoommmmeennttaarriioo aall CCooddiiccee DDeeoonnttoollooggiiccoo Pag. n.3 di 75 censura alla sospensione dall™esercizio professionale senza rigida predeterminazione della durata della sospensione stessa. Viene così ad essere superato un inconveniente spesso lamentato dai rappresentanti degli Ordini che si “vedevano costretti” ad irrogare sanzioni indubbiamente gravi anche per colpe disciplinari che, in alcuni casi, non sembravano essere tali da giustificarle. titolo 2° – DOVERI GENERALI DEL MEDICO CAPO I – INDIPENDENZA E DIGNITÀ’ DELLA PROFESSIONE Art. 3 Doveri del medico Dovere del medico è la tutela della vita, della salute fisica e psichica dell’Uomo e il sollievo dalla sofferenza nel rispetto della libertà e della dignità della persona umana, senza discriminazioni di età, di sesso, di razza, di religione, di nazionalità, di condizione sociale, di ideologia, in tempo di pace come in tempo di guerra, quali che siano le condizioni istituzionali o sociali nelle quali opera. La salute è intesa nell’accezione più ampia del termine, come condizione cioè di benessere fisico e psichico della persona . Commento: La scelta di sostituire al termine “compito” quello, decisamente più incisivo, di “dovere” nell™ambito delle affermazioni a carattere quasi universale, che l™articolo stesso contiene, è stata unanime, voluta al fine di puntualizzare il rapporto imprescindibile che deve esistere tra il medico e la persona. Questo articolo, in cui vengono sottolineati valori fondamentali e principi etici universali, vuole rivestire per il professionista una sorta di guida in riferimento a situazioni in cui l™affermazione di una propria regola comportamentale può arrivare a porsi in diretto contrasto con la normativa statale vigente. Il secondo comma dell™articolo riconferma l™interpretazione, ormai accettata ampiamente, ovvero che il concetto di salute è da intendersi in senso estensivo, con riferimento, quindi, al benessere fisico e psichico della persona. Si può correttamente sostenere che questo articolo costituisce un’applicazione dallo specifico punto di vista della professione medica degli articoli 32 e 3 della Costituzione. Come è noto, infatti, l’art. 32 della Cost. garantisce il c.d. “diritto alla salute” anche se tecnicamente è più corretto parlare di “diritto alla tutela della salute”. L’esercizio medico, attraverso la propria tradizione millenaria, costituisce il primo e più naturale supporto per difendere la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività. Il riferimento all’art. 3 della Costituzione (che prevede il c.d. principio di uguaglianza) viene invece spontaneo considerando che l’articolo del codice deontologico in commento utilizza quasi le stesse parole del legislatore costituzionale prevedendo che il medico deve assicurare la difesa e il rispetto della vita, della salute e il sollievo della sofferenza “senza discriminazioni di età, di sesso, di razza, di religione, di nazionalità, di condizione sociale, di ideologia in tempo di pace come di guerra”. Art. 4 Libertà e indipendenza della professione L’esercizio della medicina è fondato sulla libertà e sull’indipendenza della professione. Commento: La stringatezza della nuova versione dell™articolo 4 corrisponde alla volontà di dare assoluta rilevanza al concetto di libertà e di indipendenza come presupposto fondamentale per l™esercizio della medicina. La modifica del precedente testo si giustifica con lo scopo di evitare concetti retorici e ridondanti rispetto alla sintesi ed efficacia del testo attuale. La libertà e l’indipendenza del medico costituiscono due presupposti indispensabili per il corretto svolgimento dell’esercizio professionale.
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FFNNOOMMCCeeOO FFeeddeerraazziioonnee NNaazziioonnaallee OOrrddiinnee MMeeddiiccii CChhiirruurrgghhii ee OOddoonnttooiiaattrrii CCoommmmeennttaarriioo aall CCooddiiccee DDeeoonnttoollooggiiccoo Pag. n.4 di 75 A ben vedere l’istituzione degli Ordini professionali ha avuto, fra l’altro, proprio lo scopo di creare uno strumento per garantire questi diritti da eventuali interferenze esterne (vedi a questo proposito, per quanto riguarda la professione medica, l’art. 3 lett. b) del DLCPS 13 settembre 1946, n. 233, che impone la vigilanza per la difesa dell™indipendenza della professione). La difesa della libertà e dell’indipendenza del medico ha assunto ancora più rilevanza considerando che, ormai da tempo, l’esercizio professionale può essere svolto anche in regime di dipendenza (vd. art. 47 legge 833/78) o di “convenzionamento”. Numerosi problemi sono sorti per tutelare l’indipendenza e la libertà dei medici che vengono a trovarsi incardinati in un sistema improntato a criteri di supremazia gerarchica. E’ stato però chiarito che anche in queste situazioni, pur nel rispetto dei vincoli propri del lavoro subordinato (si pensi all’orario di lavoro, alle turnazioni, ma anche al diritto alle ferie), devono rimanere inalterate, per la parte specifica relativa all’attività professionale, la libertà e l’indipendenza intellettuale del medico. Art. 5 Esercizio dell’attività professionale Il medico nell™esercizio della professione deve attenersi alle conoscenze scientifiche e ispirarsi ai valori etici fondamentali, assumendo come principio il rispetto della vita, della salute fisica e psichica, della libertà e della dignità della persona; non deve soggiacere a interessi, imposizioni e suggestioni di qualsiasi natura. Il medico deve denunciare all’Ordine ogni iniziativa tendente a imporgli comportamenti non conformi alla deontologia professionale, da qualunque parte essa provenga. Commento: La lettura di questo articolo, peraltro sostanzialmente immutato, assume particolare rilevanza per quanto riguarda lo specifico tema della necessità di attenersi strettamente alle conoscenze scientifiche. La recente e per molti aspetti dolorosa vicenda relativa alle polemiche violente vissute per quanto riguarda la terapia e la lotta ai tumori, ha indotto la Federazione e i suoi rappresentanti a far valere questo principio anche a costo di vedersi accusare di difesa miope della corporazione professionale. I successivi eventi hanno in pratica dimostrato la giustezza sostanziale della posizione assunta dall’Ordine professionale in relazione alla necessità di ancorarsi a saldi principi scientifici per tutto quanto riguarda l™esercizio della medicina. Questo articolo evidenzia i valori di riferimento dell™esercizio medico: si richiama, infatti, al binomio scienza e coscienza da intendersi come riferimento del corretto comportamento etico. Sono questi due principi che si sostanziano e si limitano l™un l™altro laddove la libertà del professionista costituisce una garanzia per il cittadino e la libertà di cura riconosciuta alla persona deve essere ancorata ad elementi scientificamente validati. Il richiamo ai valori etici cui è necessario ispirarsi intende evidenziare come il concetto di attività sanitaria non sia da intendersi come mera prestazione tecnica, ma come intervento complesso ispirato costantemente a valori etici fondamentali. L’ultimo comma dell’art. 5 stabilisce la necessità per il medico di ricorrere all’Ordine contro qualsiasi pressione, da chiunque esercitata, tendente a condizionare il suo comportamento al di fuori della deontologia professionale. E’ indubbio, infatti, che il progredire dei tempi porti sempre più spesso i medici a dover sopportare pressioni e condizionamenti derivanti ad esempio dal mondo dei mass media, tendenti a “utilizzare” la figura del medico per scopi non deontologici. E’ ovvio, peraltro, che la norma si riferisce anche alle pressioni di carattere economico da cui il medico non deve farsi condizionare al punto di porre in essere comportamenti contrari all’etica professionale. Art. 6 Limiti dell’attività professionale In nessun caso il medico deve abusare del suo status professionale. Il medico che riveste cariche pubbliche non può avvalersene a scopo di vantaggio professionale. Commento: Nell™attuale testo questo articolo esprime l™obbligo morale per il medico di non abusare del suo status professionale.
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FFNNOOMMCCeeOO FFeeddeerraazziioonnee NNaazziioonnaallee OOrrddiinnee MMeeddiiccii CChhiirruurrgghhii ee OOddoonnttooiiaattrrii CCoommmmeennttaarriioo aall CCooddiiccee DDeeoonnttoollooggiiccoo Pag. n.5 di 75 Nella precedente stesura si faceva, invece, riferimento alla condizione professionale. Il motivo di questa modifica è quello di ampliare l™ambito di applicazione della norma in relazione a tutti gli aspetti della professione medica anche al di fuori dell™esercizio professionale. Il primo comma dell™art. 6 riveste carattere di generalità ed esprime l™obbligo morale per il medico di non avvalersi del proprio prestigio e della propria reputazione professionale per ottenere illeciti vantaggi. Il riferimento non è solo relativo a eventuali, ingiustificati guadagni economici ma comporta anche il dovere del medico di “non sfruttare” il proprio status sociale per suggestionare i pazienti e ottenere utilità di qualsiasi genere. Il secondo comma costituisce una specifica applicazione del principio del primo comma, facendo riferimento alle cariche pubbliche che il medico può essere chiamato a ricoprire. Come è noto la tradizionale figura del medico che svolge solo la libera professione è purtroppo residuale in quanto l™attività medica si svolge ora, prevalentemente, in rapporto di dipendenza e di convenzionamento. La norma deontologica vuole evitare anche il semplice sospetto che il medico, chiamato ad assumere cariche di rilievo pubblico, di carattere politico o amministrativo, se ne avvantaggi per favorire la propria attività professionale o comunque interessi di carattere personale. Per quanto riguarda la materia strettamente elettorale è necessario citare la legge 23 aprile 1981, n. 154, e successive modificazioni che, riferendosi ai medici dipendenti e convenzionati delle ASL, detta disposizioni in materia di ineleggibilità ed incompatibilità alle cariche di consigliere regionale, provinciale, comunale e circoscrizionale e alle cariche negli organi delle ASL. Anche in questo caso, pur nei diversi ambiti e competenze, vi è un sostanziale riscontro fra la normativa deontologica e quella propria della legge ordinaria. CAPO II – PRESTAZIONI D’URGENZA Art. 7 Obbligo di intervento Il medico, indipendentemente dalla sua abituale attività, non può mai rifiutarsi di prestare soccorso o cure d’urgenza e deve tempestivamente attivarsi per assicurare ogni specifica e adeguata assistenza. Commento: L™attuale articolato è stato reso più snello rispetto alla versione originaria del codice del 1995, ma sostanzialmente si aggancia al già richiamato principio generale di solidarietà che diventa per il medico vero e proprio obbligo in considerazione del richiamo che l™attività professionale ha con il principio costituzionalmente protetto di tutela della salute. Questo articolo del codice deontologico costituisce un’applicazione particolarmente rigorosa, in riferimento alla figura del medico, della norma di cui all’art. 593 del codice penale. Tale norma riferendosi alla generalità delle persone è, ovviamente, meno tassativa e prevede, in buona sostanza, l’obbligo di attivarsi per “prestare assistenza o dare avviso immediato alle autorità”. La differenza risiede nel fatto che l’obbligo di attivarsi per un “cittadino normale” scatta quando si trovi “la persona di un minore abbandonato o il corpo di un individuo ferito o ammalato e quindi incapace di provvedere a se stesso”. L’articolo del codice deontologico prevede, invece, che il medico, comunque, avvertito della necessità della sua opera, non possa rifiutarsi di intervenire. E’ opportuno, peraltro, ribadire che, a prescindere dagli aspetti penalistici, l’obbligo deontologico costituisce sempre una sufficiente motivazione per il medico a prestare la propria assistenza quando se ne riscontri la necessità. A livello normativo va ricordata la legge 5 giugno 1990, n. 135, che ha introdotto il dovere di prestare la necessaria assistenza nei confronti dei soggetti affetti da sindrome di immunodeficienza acquisita. Dobbiamo, comunque, evidenziare che la stessa giurisprudenza, per quanto riguarda il reato penale, ha escluso la sussistenza dell’obbligo di intervento del medico in alcuni casi specifici: 1. quando l’assistenza necessaria sia già stata assicurata al malato da parte di un altro medico; 2. quando ci si trovi di fronte a situazioni che in diritto si chiamano di “forza maggiore”. Si pensi al caso del medico che, sebbene avvertito di un caso urgente non possa, ragionevolmente, intervenire perchè gravemente ammalato o perchè la strada da cui dovrebbe transitare risulta ostruita da una frana. Si tratta di un’applicazione del tradizionale principio del diritto romano “nemo ad impossibilia tenetur”.
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FFNNOOMMCCeeOO FFeeddeerraazziioonnee NNaazziioonnaallee OOrrddiinnee MMeeddiiccii CChhiirruurrgghhii ee OOddoonnttooiiaattrrii CCoommmmeennttaarriioo aall CCooddiiccee DDeeoonnttoollooggiiccoo Pag. n.8 di 75 Esaminando le deroghe previste dal comma 2° dell’art. 9, del codice deontologico, occorre innanzi tutto chiarire che il medico, in qualità di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio, è tenuto (v. artt. 331, 334, cpp e artt. 365, 384 c.p.) alla denuncia del reato di cui sia a conoscenza per motivo della sua funzione o al referto (cioè l’indicazione della persona alla quale è stata prestata assistenza, e, se è possibile delle sue generalità del luogo dove si trovi attualmente e quant’altro valga a identificarla nonchè del luogo, del tempo e delle altre circostanze dell’intervento). La denuncia e il referto devono essere portati a conoscenza dell’autorità giudiziaria e quindi costituiscono indubbiamente deroghe all’obbligo del segreto professionale. Il motivo è evidente e consiste nell’assoluta priorità dell’esigenza di giustizia sulle pur importanti motivazioni di riservatezza che costituiscono l’essenza dell’obbligo del segreto professionale. In alcuni casi, come specifica l’articolo, il medico è anche tenuto ad alcune certificazioni obbligatorie o facoltative che possono costituire anch’esse deroghe all’obbligo del segreto. Il secondo tipo di deroghe, quelle cioè previste dalla lett. b) del terzo comma dell’articolo in commento, si basa sul c.d. consenso dell’avente diritto; cioè quando lo stesso interessato (il malato o i legali rappresentanti del minore o dell’incapace) autorizzi o addirittura richieda la divulgazione di notizie coperte dal segreto professionale. In questo caso si applica un principio generale della scienza penalistica, previsto all’art. 5 del c.p. che testualmente prevede che “non è punibile chi lede o pone in pericolo un diritto con il consenso della persona che può validamente disporne”. In buona sostanza non c’è miglior giudice di chi eventualmente subirebbe il danno dalla rivelazione delle notizie da tenere segrete sulla opportunità o meno della rivelazione stessa. Occorre al riguardo, peraltro, precisare che a volte l’obbligo del segreto professionale è posto a tutela di un interesse della collettività di cui neanche il paziente può essere arbitro. Il medico, in questi casi, ancorché facoltizzato dal proprio paziente alla rilevazione del segreto rimane titolare della decisione finale di divulgare o meno la notizia secondo il proprio prudente apprezzamento. Il sistema delle deroghe, comunque, attribuisce al medico la valutazione sull’opportunità di svelare il segreto quando sia in grave pericolo la salute o la vita di terzi. A nostro avviso tale previsione, di carattere molto ampio, è pur sempre applicabile in modo più restrittivo rispetto alla “giusta causa” prevista come deroga dall’art. 622 del c.p.. La deroga di cui trattasi attribuisce al medico la responsabilità di superare l™obbligo del rispetto del segreto quando, a suo giudizio, esistano situazioni estremamente gravi che mettono a repentaglio la salute e la vita dei terzi, ferma restando la preventiva autorizzazione del Garante per la tutela dei dati personali, in relazione anche a quanto già specificato. L’obbligo della non divulgazione del segreto professionale rimane a carico del medico anche dopo la morte del paziente a tutela del diritto alla riservatezza di cui gli eredi sono i depositari secondo le normali regole successorie quali ideali continuatori della personalità dello scomparso. L’ultimo comma dell’articolo in commento affronta una delle problematiche più scottanti del rapporto fra deontologia medica e ordinamento giudiziario. Tale comma prevede, infatti, il divieto per il medico di testimoniare al Giudice su fatti di cui egli sia venuto a conoscenza per ragioni dipendenti dall’esercizio della professione. E’ necessario subito ricordare che l’art. 200 cpp riconosce che i medici e gli altri esercenti le professioni sanitarie non hanno l’obbligo di deporre su quanto hanno conosciuto in ragione della loro professione. Si potrebbe quindi sostenere che non esiste un contrasto esplicito fra norma deontologica e norma penale. Bisogna però sottolineare che, innanzi tutto, il segreto professionale trova già una limitazione nell’obbligo di referto (art. 365 c.p.) che sussiste sempre tranne nei casi in cui il referto stesso esporrebbe la persona assistita a procedimento penale. La giurisprudenza, inoltre, è più volte intervenuta in materia riconoscendo, pur tra qualche contrasto, la possibilità per il giudice di chiedere al medico di testimoniare quando lo stesso giudice ritenga che i fatti di cui il professionista è a conoscenza non siano legati allo svolgimento dell’attività professionale in ragione del suo stato. Art. 10 Documentazione e tutela dei dati Il medico deve tutelare la riservatezza dei dati personali e della documentazione in suo possesso riguardante le persone anche se affidata a codici o sistemi informatici. Il medico deve informare i suoi collaboratori dell’obbligo del segreto professionale e deve vigilare affinchè essi vi si conformino.
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FFNNOOMMCCeeOO FFeeddeerraazziioonnee NNaazziioonnaallee OOrrddiinnee MMeeddiiccii CChhiirruurrgghhii ee OOddoonnttooiiaattrrii CCoommmmeennttaarriioo aall CCooddiiccee DDeeoonnttoollooggiiccoo Pag. n.9 di 75 Nelle pubblicazioni scientifiche di dati clinici o di osservazioni relative a singole persone, il medico deve assicurare la non identificabilità delle stesse. Analogamente il medico non deve diffondere, attraverso la stampa o altri mezzi di informazione, notizie che possano consentire la identificazione del soggetto cui si riferiscono. Commento L™impianto dell™art. 10, che tratta del dovere fondamentale del medico di tutelare e garantire la riservatezza della documentazione in proprio possesso, viene nel nuovo codice di deontologia medica, semplicemente aggiornato e connesso alla nuova disciplina della privacy introdotta con la legge n. 675 del 1996. Il titolo dell™articolo, infatti, viene ampliato in “Documentazione e tutela dei dati” proprio per sottolineare come – finalmente – l™Italia, mettendosi al pari con gli altri paesi europei ed extraeuropei, abbia inteso tutelare l™ambito dei dati cosiddetti sensibili, ossia di quei dati che riferendosi alla sfera più intima dell™individuo non devono correre il rischio di essere utilizzati in maniera distorta o, comunque, illegittima. Il primo comma dell™articolo, risentendo di questa nuova disciplina, sottolinea la necessità per il medico di tutelare la riservatezza di questi dati personali e di tutta la documentazione a lui stesso affidata. E™ stato volutamente eliminato in questo articolo il riferimento alla diffusione dei bollettini medici, problema che, proprio perché legato alla nuova disciplina in tema di privacy, si è voluto spostare all™articolo successivo, in quanto la situazione è sembrata più aderente a quella ivi descritta. L™art. 10, come il precedente articolo, costituisce un’applicazione del c.d. principio della riservatezza che impronta di sè tutta la materia deontologica. In quest’articolo si fa specifico riferimento all’obbligo di conservare e custodire la documentazione clinica riguardante i pazienti garantendone la riservatezza. Ovviamente tale documentazione costituisce il supporto necessario per la diagnosi, cura e terapia del malato e pertanto non devono esservi altri interessati oltre al medico o ai medici curanti. Indubbiamente una violazione del rapporto fiduciario che lega il medico al paziente influirebbe in modo negativo anche sulla prestazione professionale in quanto si introdurrebbero degli aspetti di reticenza da parte del malato timoroso di veder resi pubblici fatti e circostanze che preferirebbe mantenere riservati. L’introduzione anche nel campo sanitario dell’informatica rende ancora più delicato questo problema e obbliga il medico a vigilare con particolare attenzione sulla riservatezza delle informazioni di cui fatalmente entra in possesso. Il medico con il progredire dei tempi sempre più facilmente opera in collaborazione con colleghi o con altre figure professionali (infermieri, tecnici etc.). E™, peraltro, innegabile che la pubblicazione di interessanti esperienze medico-scientifiche rappresenta una garanzia fondamentale per il progresso della medicina. Anche in questa situazione si scontrano due interessi confliggenti: quello alla riservatezza del paziente che costituisce l’oggetto della pubblicazione e quello alla divulgazione scientifica dei dati e delle osservazioni ai fini del progresso della scienza medica. In questo caso (si ricordi che l’art. 9 della Cost. si preoccupa di tutelare la ricerca scientifica e tecnica) prevale il secondo interesse che deve però essere contemperato con il primo. Il medico deve, pertanto, prestare la massima attenzione affinchè dai dati e dalle osservazioni non sia possibile l’identificazione dei soggetti curati. Lo stesso principio sussiste con maggior asprezza nei rapporti tra medico e mass media. Molto spesso, infatti, personaggi pubblici rischiano di veder pubblicate o comunque diffuse notizie riguardanti la loro malattia con rilevante danno alla loro sfera di intimità ed anche alla loro dignità personale. E’ ovvio che il medico, per quanto in suo potere, non può rendersi colpevole di questi comportamenti ed è tenuto anche a vigilare sui propri collaboratori affinchè non trapelino notizie che possano danneggiare la riservatezza cui ha diritto anche la persona pubblica. Art. 11 Comunicazione e diffusione di dati Nella comunicazione di atti o di documenti relativi a singole persone, anche se destinati a Enti o Autorità che svolgono attività sanitaria, il medico deve porre in essere ogni precauzione atta a garantire la tutela del segreto professionale. Il medico, nella diffusione di bollettini medici, deve preventivamente acquisire il consenso dell’interessato o dei suoi legali rappresentanti. Il medico non può collaborare alla costituzione di banche di dati sanitari, ove non esistano garanzie di tutela della riservatezza, della sicurezza e della vita privata della persona.
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